Digressione

Soccorso in mare: molta disinformazione e norme inadeguate. E’ ora di fare chiarezza.

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Soccorso in mare: molta disinformazione e norme inadeguate. 

 La normativa attuale in materia.

Il codice della navigazione (c.n.)  articoli 489 e seguenti (Titolo IV , Capo I) “Dell’ assistenza e del salvataggio”.

Il c.n. è datato 1942. A dieci anni di distanza l’emanazione del suo regolamento di esecuzione (Regolamento Marittimo).

La normativa codicistica impone l’obbligo di soccorso alle navi in pericolo con riferimento alla salvezza della vita umana in mare, e non già al salvamento del bene nave che, quando costituisce unico mezzo per salvare le persone a bordo, dà diritto ad un compenso al salvatore di ammontare ragguagliato al valore dei beni salvati, alla diversa gravità di perdersi della nave con riferimento alle condizioni meteo-marine, agli sforzi ed alle spese sostenute dall’ armatore della nave soccorritrice.

In quelle norme è fissato il principio di obbligatorietà di soccorso alle persone ma non ai beni,  e il soccorritore per adempiere al suo dovere può prendere a bordo tutte le persone presenti sulla nave in pericolo, abbandonando la nave al suo destino. Dalle stesse norme, scaturisce che il soccorso alla nave (rimorchio e trasporto in luogo sicuro) si rende obbligatorio solo se indispensabile per salvare le persone. Il riconoscimento di un compenso – che può essere pattuito tra il soccorso ed il soccorritore – conferma l’assenza di un obbligo di salvamento del bene nave.

Si è dovuto attendere ancora qualche decennio per l’emanazione di una seconda disposizione di legge in materia di soccorso in mare: il D.M. 1 giugno 1978 “Approvazione delle norme interministeriali per il coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso della vita umana in mare tra i vari organi dello Stato che dispongono di mezzi navali, aerei e di telecomunicazioni”.

Queste norme ministeriali fissano le competenze delle diverse autorità interessate, i loro compiti ed il coordinamento delle operazioni di soccorso quando più autorità pubbliche vi prendono parte.

Ma le stesse ( oltre a quelle del c.n. citate) prevedono la coesistenza di azioni private unitamente a quelle pubbliche istituzionali nel soccorso in mare :

–        l’articolo 2, dispone che le norme si applicano al soccorso d’ ufficio della vita umana in mare (quindi alle autorità pubbliche che vi prendono parte);

–        l’ allegato 1: significato delle abbreviazioni e termini,  definisce  (1) “soccorso in mare”  “ l’ intervento attivo di uno o più mezzi navali e/o aerei con il quale si attua l’assistenza tendente alla eliminazione di un pericolo imminente; oppure, ad incidente avvenuto, il salvataggio delle persone che versano in pericolo sul mare”;  (2) “ mezzo/unità navale impiegata per operazione di soccorso”   e’ un mezzo navale appartenente allo Stato oppure a privati che partecipa o che è previsto possa partecipare alle operazioni di soccorso e ricerca in mare”; “ soccorso obbligatorio “  è “  il soccorso dovuto per legge (la cui ingiustificata omissione comporta sanzione penale) dal singolo cittadino o dalla persona in rapporto alla funzione di cui è investito; le stesse norme chiariscono che “ il soccorso obbligatorio in mare è rivolto alla salvezza della vita umana ed è rivolto anche al mezzo su cui si trova la persona in pericolo qualora la sua salvezza non si possa operare se non salvando anche il mezzo stesso. “

–        Tale definizione della nozione di soccorso obbligatorio rende legittima la partecipazione privata ad operazione di soccorso in mare da parte di imprese costituite a tale scopo, che si qualificano come uno dei soggetti operanti nel soccorso in mare. Ne deriva che la partecipazione professionale a tali tipi di operazioni può essere gestita  in forma d’ impresa con l’impiego di uomini e mezzi riconosciuti idonei secondo norme riferibili sia alla qualificazione degli operatori sia all’ idoneità dei mezzi nautici utilizzati, i quali devono essere riconosciuti idonei all’esercizio del rimorchio dal Registro Italiano Navale. In tale quadro, la nascita di imprese qualificate nel settore è auspicabile e possibile,oltre che utile al diportista e alla sicurezza della navigazione da diporto, in quanto operano a tariffe note e non soggette a incerte e complicate valutazioni quantitative derivanti da accordi privati o pronuncie giudiziali.

–        L’allegato 5, punto 2 del decreto citato recita: nel secondo caso, quando il mezzo di un altro ente, avuta per primo la notizia della necessità di un soccorso, abbia iniziato le operazioni di ricerca e soccorso , possono verificarsi le seguenti due situazioni: (a) il mezzo è in grado di portare a compimento l’operazione di soccorso. In tale caso né dà tempestiva e dettagliata notizia alla capitaneria di giurisdizione; (b) il mezzo ritiene di non poter portare a compimento l’operazione di soccorso o ritiene intempestivo il suo intervento. In tal caso avvisa la capitaneria di giurisdizione e continua nella sua azione di ricerca e soccorso, rimanendo a disposizione della stessa capitaneria che assume la direzione delle operazioni e attua tutti i provvedimenti di competenza indicati nei precedenti paragrafi. La capitaneria di porto agirà nello stesso modo qualora ad iniziare le operazioni sia un mezzo privato e, comunque, gliene sia giunta notizia.

–        Dalle norme citate deriva la legittimità di imprese private che operano nell’ assistenza e rimorchio-trasporto di unità da diporto in avaria.

Occorre ora analizzare la portata delle norme del c.n. e decreto ministeriale citato con riferimento agli spazi specifici in cui l’azione di soccorso in mare viene portata.

Nessuna norma esenta chi viene a conoscenza di una unità da diporto in pericolo dall’ obbligo di prestare soccorso previsto dal c.n. e decreto citato.

Dunque, il diritto a prestare  servizio di soccorso e rimorchio-trasporto di unità da diporto o diversa  da parte di impresa privata,  sia in acque esterne che interne al porto, esiste in virtù del principio di libertà d’impresa e del carattere di obbligatorietà di legge insito in ogni operazione di soccorso in mare.

In queste operazioni di impresa, tuttavia, il problema viene posto da alcune capitanerie di porto, nella specie quelle nei cui porti esiste un regolamento del servizio di rimorchio portuale.

Come noto, la dottrina e la giurisprudenza pacificamente riconoscono che il rimorchio si distingue in due tipologie:

(a) il rimorchio-manovra, quello in cui una unità navale provvista di mezzi propri di propulsione, utilizza l’ausilio di un rimorchiatore per compiere in sicurezza manovre di attracco a banchine portuali o navigazione in canali e passi stretti. Tale tipo di rimorchio, per ragioni di sicurezza, in alcuni porti e per navi di stazza lorda e lunghezza superiori a determinati limiti, viene reso obbligatorio e le prestazioni di rimorchio-manovra sono riservate a imprese concessionarie del servizio portuale di rimorchio ai sensi dell’art. 101 c.n.;

(b) L’altra tipologia di rimorchio comunemente definito “rimorchio-trasporto” si ha quando una nave è priva di mezzi propri di propulsione (galleggianti, chiatte) oppure, benché ne sia munita, essi si trovano in avaria.

La seconda tipologia (rimorchio-trasporto) è quella che interessa normalmente le richieste di assistenza e rimorchio proveniente dalle imbarcazioni da diporto che subiscono una avaria al motore e/o apparati elettrici o di governo di bordo.

Tale tipologia di rimorchio, sia all’ interno che all’ esterno dei porti, è libera e la prestazione del servizio è soggetta alla sola limitazione di utilizzo di un mezzo nautico riconosciuto idoneo al rimorchio dal Registro Navale Italiano.

L’obbligo di utilizzare un mezzo nautico idoneo al rimorchio viene meno solo nel caso di rimorchio effettuato da una unità da diporto nel caso in cui essa debba effettuare il rimorchio del natante in avaria quale unico mezzo per salvare le persone presenti a bordo.

E’ importante, in tali casi, controllare le condizioni di assicurazione della propria polizza nautica. Molte compagnie, infatti, non assicurano i danni provocati a seguito di rimorchio se l’unità non è munita di ganci e apparecchiature di rimorchio riconosciute idonei.

Alcune capitanerie di porto, con una interpretazione estensiva dell’art. 101 del c.n. ed una scarsa o nulla considerazione della giurisprudenza e dottrina in materia, si esprimono nel ritenere che nei porti ove vige un regolamento del servizio di rimorchio  ogni tipologia di rimorchio, che riguardi qualsiasi tipologia di nave, sia consentita solo a chi possiede una concessione ex art. 101 del c.n.

Tale interpretazione porta alla creazione di più di un mostro giuridico:

(a) il c.n. non fu emanato per disciplinare la navigazione da diporto, che nel 1942 non esisteva come fenomeno diffuso, ma per disciplinare la navigazione mercantile; che le norme del c.n. siano state emanate per disciplinare le navi e la navigazione mercantile lo dimostra il fatto che si è reso necessario emanare un corpo di norme specifiche per il diporto nel codice della nautica da diporto.

(b) se per assurdo si volesse accettare la tesi di quelle capitanerie, nei porti dove vige un regolamento di rimorchio una unità da diporto rimorchiata in mare aperto da un mezzo nautico privato per obbligo imposto dal c.n. e decreto ministeriale citato non potrebbe entrare al riparo all’interno di un porto dove vige un regolamento di rimorchio, e il diportista dovrebbe rivolgersi ad un altro soggetto (concessionario ex art. 101 c.n.) per portare a termine il salvamento della sua unità, pagando – oltre che il compenso al soccorritore – anche la spesa sproporzionata di intervento di un rimorchiatore portuale;

(c) secondo la tesi fantasiosa di quelle capitanerie, all’interno di uno specchio acqueo dove vige un regolamento di rimorchio, anche se trattasi di rimorchiare solo un natante da diporto di modeste dimensioni, il soccorso di rimorchio-trasporto dovrebbe ( sic !!) effettuarsi con l’uso di un rimorchiatore con potenza motore di tremila cavalli, con costo per il malcapitato diportista di qualche decina di migliaia di euro !!!

Dulcis in fundo, nessun soccorritore privato diverso dal titolare di concessione ex art. 101 c.n. potrebbe accettare la richiesta di intervento del diportista, per timore della sanzione spropositata (cinquemila euro ed oltre !!) che gli viene comminata dalla capitaneria di porto. La conseguenza sarebbe che il malcapitato diportista dovrebbe rivolgersi al concessionario del servizio di rimorchio portuale, con la conseguente costituzione di un altro monopolio improprio ( il rimorchio di unità da diporto) a favore di quest’ ultimo, e con l’ altra conseguente violazione della legge antitrust in materia di libertà di concorrenza e di mercato, in quanto la prestazione di servizi di salvataggio alle unità da diporto diverrebbe appannaggio esclusivo delle lobbies portuali.

Ricordiamo, infine, le norme del codice della nautica da diporto, tra le quali vi è quella che vieta di utilizzare una unità da diporto per scopi diversi dal diporto, pena una sanzione amministrativa anche essa salata.

Per tutte le considerazioni esposte, se non interviene una precisa regolamentazione del soccorso in mare al diporto, si rischia di portare i diportisti nelle fauci dei grandi armatori monopolisti dei servizi di rimorchio portuale. 

 

Soccorso in mare: molta disinformazione e norme inadeguate. E’ ora di fare chiarezza.ultima modifica: 2016-02-09T23:47:53+01:00da salvo0138
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